"Salutiamo questo teatro?", aveva urlato il maestro lo scorso novembre dal palco dopo sette minuti d'applausi di una platea in visibilio per l'Ernani di Verdi. Scena irripetibile. Perché adesso il teatro dell'Opera Riccardo Muti lo ha salutato davvero, dopo  4 anni come direttore artistico onorario. "Non ci sono le condizioni per poter garantire quella serenità per me necessaria al buon esito delle rappresentazioni", ha scritto ieri in una lettera indirizzata al sindaco Marino e al sovrintendente del teatro Carlo Fuortes. Una decisione presa con "grandissimo dispiacere, dopo lunghi e tormentati pensieri".

Dunque, per la prima dell'Aida in cartellone il 27 novembre prossimo bisognerà cercare un altro direttore, e così per Le nozze di Figaro, a maggio. Una bomba che si abbatte sul Costanzi, dopo una stagione complicatissima e piena di veleni fatta di bilanci in rosso, scioperi degli orchestrali, minacce di commissariamento, sindacati divisi e rappresentazioni sfumate all'ultimo. Come è successo quest'estate a Caracalla con la Bohème saltata per la protesta degli orchestrali, lasciando il pubblico basito e  tanti  turisti a chiedersi il perché.

Ma il periodo nero per il teatro Costanzi, 460 persone assunte in pianta stabile, comincia tempo fa. Con un indebitamento che di anno in anno si fa più grave.  C'è bisogno di una  ristrutturazione, di mettere mano ai conti, di pensionare, di aumentare le produzioni se non si vuole chiudere i battenti.  Il bilancio consuntivo del 2013 parla di un deficit di 12 milioni e 900; l'indebitamento netto è di 28,8 milioni di euro. E' crisi nera. Ed l'ottobre del 2013. Il Costanzi rientra nei finanziamenti della legge voluta dal ministro Bray. E Carlo Fuortes viene chiamato alla sovrintendenza.

Ma è proprio con la prima dell'Ernani diretta da Riccardo Muti, che  lo scorso novembre le proteste sindacali esplodono. La rappresentazione fino all'ultimo è in bilico. Quando il maestro alla fine sale sul palco, la platea si scioglie in un'ovazione per lo spettacolo bellissimo e per la tensione che finalmente se va via.

Ma è un illusione. I sindacati si spaccano. A inizio estate Cgil e  Fials non firmano il piano industriale di Fuortes che non prevede alcun licenziamento ma 65 pensionamenti e l'intenzione di aumentare la produttività. Facendo lavorare tutti di più.  "Si vuol far diventare il teatro dell'Opera un teatro di provincia", l'accusa di una parte dei sindacati. E ancora "Il piano di ristrutturazione serve solo a depotenziare il teatro, manca la progettualità".

Intanto a maggio arrivano i primi milioni: cinque.  L'estate porta scioperi e spettacoli senza orchestra. Ma anche un aumento degli spettatori da 41.000 del 2013 a 57.000. Il numero dei biglietti venduti sale del 30 per cento.  Il bilancio si risana.   Ma a paraggio  raggiunto nell'attesa di altri 20 milioni del "pacchetto" Bray, ecco il colpo di scena:  Muti sbatte la porta e se ne va.  Lasciando tutti a bocca aperta. "Una scelta influenzata dall'instabilità in cui versa l'Opera a causa delle proteste, della conflittualità interna e degli scioperi durati mesi con gravi disagi per il pubblico internazionale e nazionale che aveva acquistato i biglietti", spiegano ancora intontiti dalla "botta" Fuortes e Marino. "Siamo dispiaciutissimi  dice  Pasquale Failla nel coro del Teatro e nella Cgil, una delle due sigle "ribelli"  Il maestro lo abbiamo sempre sostenuto, non se ne è certo andato via per colpa nostra. Anzi abbiamo cercato di difendere la sua grande capacità organizzativa. Lui è il più grande, l'unico ad essere riuscito a dare un'identità forte al teatro dell'Opera".

Ma ora cosa accadrà? L'uscita di scena di Riccardo Muti porta con sé tante incognite. Una è da sciogliere in poco tempo: trovare due direttori che possano sostituirlo. Per l'Aida che doveva aprire la stagione 20142015  il 27 novembre  prossimo, un altro per Le nozze di Figaro in programma dal 21 maggio.

Una bella gatta da pelare per Fuortes, Marino e il Consiglio di amministrazione (che a dicembre dovrà essere rinnovato). A breve l'incontro. Urge una strategia per parare il bruttissimo colpo.